venerdì 13 aprile 2018

EVEREST, IL FILM

LA PELLICOLA SULLA TRAGEDIA DEL 1996

L’inverno è finito, anche da un po’ ormai. Così, da qualche parte nel mondo, si sta già preparando tutto per l’abituale corsa estiva alla cima del tetto del mondo che da ormai qualche decennio vede la partecipazione di un numero indefinito di alpinisti, esperti e non. Ma siccome mi sento generosa e vi voglio far risparmiare qualche migliaio di euro oggi vi ci porto io, gratis, sulla montagna più alta della terra con Everest, il film del 2015.
Locandina del film Everest, basato sulla storia vera della tragedia del 1996
Fonte: Uvm Bored;  tutti i diritti di copyright appartengono alle case di produzione e a chiunque altro abbia la paternità di questa foto

Cos’è Everest, il film?


Come forse avrete intuito dal nome, Everest è un film che parla, appunto, dell’Everest. Ma non racconta dell’Everest in generale, o della sua conquista nel 1953 da parte di Edmund Hillary o del tentativo (forse riuscito) di George Mallory e Andrew Irvine nel 1924. No, parla di un altro evento allegro almeno quanto il tentativo di Mallory e Irvine: la spedizione disastrosa del 1996.

Insomma è proprio uno di quei film che ti vedi se sei depresso e vuoi decidere con che sapone insaponare la corda. Consiglio quello di Marsilia: per lo meno muori circondato da un buon profumo. Fatto sta che per intenderci, sullo spettro dell’allegria, è all’esatto opposto di L’Ascension, la commedia francese sull’inesperto che ha conquistato l’Everest (tratta incredibilmente da una storia vera). In un paradosso tipico del mondo dello spettacolo entrambi i film sono facilmente reperibili su Netflix così in un solo giorno se vi sentite abbastanza bipolari vi potete dare al binge watching e guardarveli insieme. Consiglio prima L’Ascension e poi Everest, perché è come con l’alcol: si deve andare a salire, mai scendere. E ricordatevi il sapone di Marsilia, mi raccomando!

Quando è uscito, Everest ha aperto la settantaduesima edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia come film fuori concorso. Un bell’onore; quindi non vi stupirà sapere che è un film niente male. Che poi nel cast, tra gli altri, c’è pure Jake Gyllenhaal e non è mai male un film con Jake Gyllenhaal. Però io ve lo dico: compare per un totale di tipo 10 minuti su 2 ore di film; quindi io non me lo guarderei per vedere lui. Guardatevelo piuttosto perché nella mia affidabilissima e inopinabile scala “quanto mi ha fatto piangere” ha raggiunto il rispettabilissimo livello “ho pianto come una cascata” che significa più o meno che è bello (considerate che più su di questo c’è “ho pianto come il diluvio universale” che a memoria è capitato solo con Big Fish e l’inizio di Up).



La storia del film Everest


Everest racconta la storia vera di un disastro avvenuto più di vent’anni fa. Uno di quei disastri che sono, purtroppo, rimasti nella storia perché in un colpo solo la montagna più alta del mondo, forse il più facile tra gli Ottomila, ha ucciso 11 persone.

Questa storia era già stata raccontata prima in un articolo e poi nel libro Aria sottile (Into Thin Air) da Jon Krakauer partecipante alla spedizione come inviato del mensile Outside, all’epoca una delle principali riviste statunitensi sul mondo dell’avventura e degli sport estremi. Questo libro, in realtà, aprì una discussione che non si è mai conclusa. Questo capita spesso, a dire il vero, nel mondo dell’alpinismo. Con il senno di poi nascono spesso tanti ma e tanti se e ancora più versioni diverse della stessa vicenda (il fattaccio della conquista del K2 potrebbe considerarsi un esempio da manuale sull’argomento). In questo caso la questione era terribilmente semplice e al tempo stesso terribilmente complicata: Krakauer accusò Anatoli Boukreev, grande alpinista e guida di una delle spedizioni protagoniste della tragedia, di aver abbandonato i propri clienti e di avere molte responsabilità per ciò che era successo. Boukreev era reo di essere tornato al campo IV prima dei suoi clienti perché era salito in vetta in stile alpino, ossia senza ossigeno. Questo certo era vero, come però era anche vero che i clienti erano rimasti con altre guide e che Anatoli Boukreev negli stessi momenti della tragedia uscì in mezzo alla bufera e portò in salvo tre alpinisti dispersi, come affermò poi nel suo libro di difesa Everest 1996 - cronaca di un salvataggio impossibile (The Climb: Tragic Ambitions on Everest). Purtroppo la sua morte prematura sull’Annapurna nel 1997 ha stroncato questa discussione lasciandola per sempre orfana di una soluzione.

Ma cosa è successo quel 10 maggio 1996 sull’Everst? Il film parla proprio di questo. Parla di Rob Hall (Jason Clarke), che sta per avere una figlia ed è proprietario dell’Adventure Consultants, società che si occupa di organizzare spedizioni commerciali sull’Everest. E parla anche di Scott Fischer (Jake Gyllenhall) che organizza a sua volta spedizioni commerciali con la sua società Mountain Madness. Parla dei loro clienti e della folla di gente che si stringeva nel campo dell’Everest in quel giorno. Parla dell’idea di Hall e Fisher di unire le due spedizioni in una sola per venire a capo dei problemi che un affollamento del genere può creare su di un Ottomila. Parla di come alcune difficoltà dei clienti e altre organizzative abbiano fatto tardare troppo l’arrivo in vetta. Parla della bufera di neve che li ha sorpresi e travolti. E parla anche di Beck Weathers (Josh Brolin).

Beck Weathers non era un principiante. E a rischio di farvi un terribile spoiler Beck Weathers non è neppure una vittima dell’Everest. Weathers è il protagonista di una prima assoluta nella storia delle scalate degli Ottomila. Dopo aver trascorso una notte all’addiaccio in un bivacco, riuscì con le sue sole forze a tornare al campo IV dove gli toccò trascorrere un’altra notte al freddo in una tenda. I suoi compagni lo credevano destinato a morire a causa dei gravi congelamenti riportati a mani e viso. E invece sopravvisse. A quel punto i compagni lo aiutarono a raggiungere il campo II dove un elicottero osò sfidare per la prima volta nella storia quelle altitudini e riuscì miracolosamente dove altri avevano fallito o desistito prima di lui. Il pilota che permise questa incredibile evacuazione di soccorso si chiamava KC Madan. Anche lui ora è nella storia. È grazie a lui se Beck Weathers oggi è vivo nonostante abbia perso l’uso di entrambe le mani e del naso. È grazie a lui se Weathers ha potuto raccontare come siano stati qui momenti per lui:


“Ero perso. Ero quasi cieco. Le mie mani erano congelate. Il mio viso era distrutto dal freddo. Non ho mangiato per tre giorni e non bevevo da due. Ricordo che il vento mi spostava, pregavo affinché mi liberassero, ma in cuor mio sapevo che non sarei mai sopravvissuto. Ho alzato lo sguardo e ho capito che in una sola ora, quando le tenebre sarebbero di nuovo scese, il freddo avrebbe attraversato il mio corpo solo un’ultima volta.”

Il gruppo dell'Adventure Consultants nei giorni prima della tragedia del 1996
Fonte: Polka Kultura; tutti i diritti di copyright appartengono a chiunque altro abbia la paternità di questa foto

Cosa significa andare sull’Everest


Quando vidi il film Everest ero appena tornata dal Monte Prena, un’esperienza di certo non paragonabile oggettivamente a questa tragedia ma che per me era stata una prima volta in assoluto: neve, vento gelido, vento forte, vestiti troppo leggeri. Il Prena era stato un colpo inaspettato della montagna quindi per me fu immediato legare insieme per sempre film ed escursione. Così quando qualche giorno dopo parlando con un amico mi sono sentita chiedere “ma perché fanno queste cose? Sono pazzi!”, mi è venuto naturale rispondergli “ma tu te lo immagini che vista si ha da lassù? È l’unico posto al mondo così!”. E nonostante io sia sicura di non aver intenzione mai nella vita di fare un Ottomila (preferirei tenermi strette vita e falangi delle dita) ci credevo davvero quando glielo ho detto perché nonostante il Prena fosse stato duro io ci sarei tornata già il giorno dopo.

Detto questo, però, ragionando a mente fredda mi sono resa conto che è necessario disegnare i confini di certe affermazioni. Potrebbe darsi che aveva ragione Mallory quando diceva che l’Everest è lì a ricordarci il rispetto che si deve alla natura e all’altezze inaccessibili. Una vista come quella dell’Everest è unica, ma è anche costosa. Più di 235 persone sono morte nella conquista di questa vetta di 8848 metri. Molti di quei morti sono ancora lì: l’Everest è uno dei più grandi cimiteri a cielo aperto del mondo. C’è chi è morto per una valanga, chi per una caduta, chi per i congelamenti e chi per il mal di montagna. Lassù infatti l’aria rarefatta e la pressione rendono difficile respirare per lungo tempo. Per questo le scalate senza ossigeno sono solo il 2,7% circa. Per altro il vento può superare i 200 mph e la temperatura minima può raggiungere anche i -62C. E queste condizioni climatiche, unite ovviamente all’impegno fisico richiesto, portano in media a una perdita di peso che oscilla tra i 5 e i 10 chilogrammi (ecco se volete prepararvi alla prova costume vi ho dato la soluzione perfetta!).

E se vogliamo essere anche un po’ venali sappiate che salire sull’Everest può costare dai 30.000 dollari per una scalata in solitaria ai 90.000 dollari per una spedizione VIP, ossia con connessione internet e linea telefonica. E queste sono solo stime: tutto varia poi da compagnia a compagnia. Però quello che resta imprescindibile è la tassa obbligatoria che tutti gli stranieri che vogliono affrontare l’Everest devono pagare al governo nepalese: dagli 11.000 ai 25.000 dollari a seconda della grandezza del gruppo e della durata della spedizione.


E quindi, a questo punto, a chi va di fare una gita fuoriporta sull’Everest?

Il monte Everest innevato
Fonte e credits: Lutz6078; immagine dell'Everest dalla base

Scheda del film:

Sceneggiatore: Simon Beaufoy, William Nicholson
Regista: Baltasar Kormàkur
Produttore: Universal Picture, Cross Creek Pictures, Walden Media, Working Title Films, RVK Studios
Durata: 121 minuti
Anno di uscita: 2015

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